Si riscriverà la storia?

Consigliamo vivamente la visione della puntata di Report del 19/12/22, che contiene un’ampia ed approfondita inchiesta dal titolo La Pandemia Silenziosa che, come dice il conduttore Sigfrido Ranucci nell’introduzione, forse con un eccesso di fiducia, “riscriverà la storia della pandemia nel nostro paese”. Purtroppo il servizio è lungo, dura circa un’ora (comincia intorno al minuto 0:26:00 della trasmissione, -1:20:30 alla fine), ma è di estremo interesse e assicuriamo che vale la pena spenderci del tempo.

È inutile anticiparne qui i contenuti, ma vogliamo puntualizzare alcuni aspetti strettamente connessi alla “follia COVID” che, se avessimo avuto modo di vedere la trasmissione prima di pubblicare il libro, avremmo sicuramente citato.

  1. Nel libro, al capitolo 2.2, spieghiamo come la mortalità da COVID in Italia sia molto più alta di quella di altri paesi europei con caratteristiche analoghe alle nostre, così come l’eccesso di mortalità generale, per tutte le cause. L’inchiesta di Report (intorno al minuto 0:29, -1:17:30 alla fine) parla dell’enorme incidenza di infezioni ospedaliere antibiotico-resistenti tra i morti COVID, fornendo quindi una chiave di lettura interessante alla “stranezza” italiana. E dice che in Italia, prima del COVID, circa 15.000 persone all’anno (dato pesantemente sottostimato e nel servizio di Report si spiega perché, e tuttavia già il dato peggiore d’Europa) muoiono per infezioni contratte in ospedale: ebbene, durante la pandemia i numeri si sono moltiplicati di parecchie volte; e questo già basta a suggerire qualcosa. Ma ancora più interessante è l’elenco delle possibili cause, tutte riconducibili al panico generale e alla risposta disorganizzata e “creativa” italiana (denunciata anche dall’OMS – ne parliamo nel cap. 2.7 del libro):
    • eccesso di risposta ospedaliera e, di conseguenza, ospedali troppo pieni (forse è anche per questo che la Germania – dove è stata privilegiata la risposta territoriale in luogo di quella ospedaliera – ha registrato molti meno morti di noi?), condizione aggravata dalla cronica carenza di posti;
    • introduzione in emergenza di operatori poco formati;
    • utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuale per i sanitari (i famosi “astronauti”) senza senso per una malattia che, negli under 65 in salute (come è chi lavora), non ha praticamente conseguenze e che si sono rivelati fonte di ulteriori gravi rischi (ne parliamo a pag. 169 del libro relativamente alle mascherine, ma il discorso vale per tutti i DPI);
    • totale mancanza di pianificazione sanitaria dell’emergenza e disposizioni scriteriate (tra cui la sospensione delle autopsie) (ne parliamo nel capp. 2.6 e 2.7 del libro);
    • totale mancanza di pianificazione di azioni a contrasto delle antibiotico-resistenze, anzi, nella generale carenza di protocolli di cura, addirittura sono stati massicciamente adottati comportamenti che le hanno favorite (cfr. successivi punti 4 e 5).
  2. La contabilità dei morti COVID in Italia è farlocca (ne parliamo diffusamente nel capitolo 2.2 del libro). Il Direttore Generale del Ministero della Salute Claudio D’Amario si esprime così (intorno al minuto 0:32 della trasmissione, -1:14:10 alla fine): “molti sono morti per la sepsi e non per il COVID. [Intervistatore:] Solo che ufficialmente sono morti per COVID. [D’Amario:] (…) C’è stato un problema metodologico, un problema che l’Istituto [Superiore di Sanità] doveva rivedere tutte le cartelle, ma era un lavoro disumano, quindi…” e conclude ammettendo candidamente: “se andassimo a fare una revisione, il 40% di quei decessi non ha nulla a che vedere col COVID”. È sufficiente ad attestare quale cura e attenzione sia stata riservata ai numeri della nostra pandemia? Gli stessi numeri sulla base dei quali sono state giustificate tutte le scelte scellerate degli ultimi tre anni?
  3. La questione dell’incidenza delle infezioni ospedaliere tra i morti COVID non è di poco conto. Nell’inchiesta di Report si cita uno studio (peraltro con molte limitazioni, ma non sottilizziamo) in cui si stima che il 19% dei morti COVID aveva infezioni batteriche contratte, nell’88% dei casi, in ospedale e con antibiotico-resistenze fino al 95%. E si dice anche che la cifra record italiana di 15.000 morti/anno (la quale, moltiplicata per tre anni, fa 45.000 morti, senza considerare l’effetto moltiplicatore dell’effetto COVID) si inserisce nella astronomica cifra mondiale di 1.300.000 morti/anno per batteri antibiotico-resistenti (che, se moltiplicata per tre anni, fa quasi 4 mln di morti, con qualche inquietante riverbero sulla cifra di 6,7 mln di morti COVID totali ad oggi…). Insomma, mi sa che la questione ha inciso non poco sui numeri della nostra pandemia…
  4. È del tutto evidente che l’Italia, oltre alla sostanziale assenza di un Piano Pandemico (ne parliamo diffusamente nei capitoli 2.6 e 2.7 del libro), ha scontato anche le carenze e la mancata applicazione del Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR), nonostante le pesanti critiche che l’ECDC ha rivolto all’Italia a seguito di un’ispezione del 2017 ed un apposito stanziamento di 40 mln di euro per svilupparlo (Report lo racconta intorno al minuto 0:41 della trasmissione, -1:05:00 alla fine). Quello di non pianificare o di farlo solo con inutili supercazzole senza alcuna concretezza e solo sulla carta, è un vizio tutto italico…
  5. La “tempesta perfetta” costituita dalla sovrapposizione tra COVID e infezioni nosocomiali antibiotico-resistenti non è stato un dato “di natura”, ma, come detto al punto 1, il frutto di una serie di errori, inerzie, disorganizzazioni, errati comportamenti1. Tra questi ultimi spicca il massiccio utilizzo di antibiotici per curare il COVID (Report fa l’esempio dell’azitromicina che ha registrato un aumento delle prescrizioni del 230%), “nonostante sin dal primo anno alla facoltà di medicina insegnino che i virus non si curano con gli antibatterici” (se ne parla intorno dal minuto 1:01:00 della trasmissione, -0:45:00 alla fine). Quindi, oltre a “tachipirina e vigile attesa”, anche “antibiotico e vigile attesa”. E non si sa cosa sia stato peggio, visti i risultati…
  6. Il bello è che la questione degli antibiotici è davvero surreale (Report ne parla intorno al minuto 1:17:00 della trasmissione, -0:29:00 alla fine). Sono trent’anni almeno che l’industria farmaceutica non sviluppa più antibiotici, mentre i nostri comportamenti dissennati ne richiederebbero con estrema urgenza (un’esperta intervistata al minuto 0:38:00, -1:07:30 alla fine, dice: “potremmo arrivare ad una situazione in cui il paziente avrà debellato il tumore, ma morirà post-chemioperapia o post-trapianto, per un’infezione resistente agli antibiotici: la fine della medicina moderna”). Su questo tema non c’è traccia della grande e luminosa esperienza, da tutti lodata, di concorde ricerca finalizzata al bene comune e alla salvaguardia della specie umana messa in atto per produrre i vaccini COVID a tempo di record. Perché? Semplice: con gli antibiotici non si guadagna. Niente a che vedere con i colossali ricavi dai vaccini (lo accenniamo anche nel libro, a pag. 266). Ma, nell’inerzia delle istituzioni, le case farmaceutiche (insieme alle onnipresenti fondazioni private come quella di Bill Gates e con la benedizione della tutt’altro che indipendente OMS) si ritagliano anche una patente di “buoni”: “Nel 2020 le multinazionali del farmaco hanno lanciato un fondo: Action Found. Prevedono di investire 1 miliardo di euro in 10 anni su promettenti start-up con farmaci in fase avanzata di sperimentazione, per sviluppare 4 nuovi antibiotici entro il 2030.” Insomma, piccole realtà, intraprendenti ma senza risorse, lavorano nel campo degli antibiotici abbandonato dalle grandi case farmaceutiche, mentre queste stanno tranquille a guardare: che importa se ci vorranno altri dieci anni? Ah, a proposito, da qui al 2050 si stima che i morti nel mondo per antibiotico-resistenza arriveranno fino a 10 milioni all’anno. E non saranno solo vecchietti ultraottantenni e molto malati a farne le spese. Varrebbe la pena sforzarsi un po’ di più, come abbiamo fatto per il COVID?
  7. Facciamo, giusto per la cronaca, anche due conti sui soldi. Nel servizio di Report si citano i 40 mln di euro stanziati dal Ministero della Salute per cominciare a lavorare sul PNCAR (cosa mai fatta), i 360 mln di euro stanziati per il programma CARB-X (Combating Antibiotic-Resistant Bacteria) da Bill Gates insieme a soldi pubblici di USA, UK e Germania, il 1 mld di euro in 10 anni stanziato da Big Pharma per il programma Action Fund. Nel nostro libro, a pag. 94, noi facciamo un piccolo “conto della serva” e ci accorgiamo che in Italia, per fare 223 milioni (al 17/6 scorso, oggi molti di più) di tamponi al fine di tracciare i contagi e contenere il virus (obiettivi che sappiamo impossibili da realizzare), abbiamo speso inutilmente 8,36 mld di euro. E, lo ripetiamo, questo solo in Italia. La quale, invece che essere l’esempio mondiale del panico, dei lockdown e delle discriminazioni vaccinali (che non hanno salvato nessuno, anzi), ha avuto in mano le risorse per diventare il faro mondiale nella ricerca sugli antibiotici e contribuire a salvare – per davvero – milioni di vite nel mondo.
  8. E, per concludere, qualche piccola nota di costume. Al minuto 0:37 (-1:09:00 alla fine) si vedono immagini di un laboratorio di analisi italiano, in cui tutti operano mascherati (compresi intervistato e intervistatore), spesso anche col solito vizio del naso non coperto; al minuto 1:19:00 (-0:27 alla fine) si vedono invece le immagini di un laboratorio farmaceutico francese, in cui nessuno porta alcuna protezione respiratoria e, men che meno, intervistato ed intervistatore. Ora, pur nella consapevolezza che si tratta di contesti laboratoriali diversi tra loro, la discrepanza tra i due approcci dà comunque un po’ da pensare o no? Per non parlare degli assurdi protocolli ancora vigenti negli ospedali italiani (sebbene non vi sia più un obbligo di legge) per cui è praticamente impossibile andare a visitare un malato per portargli un po’ di conforto (aspetto che – nessuno se lo ricorda più, ormai – fa parte integrante della “cura” del malato): precauzioni che, alla luce di quanto fin qui detto, risultano senza alcuna ratio dal momento che, a quanto pare, se i ricoverati si prendono una malattia in ospedale ciò avviene per causa dell’ospedale stesso e dei suoi operatori e non certo per colpa dei visitatori…

Basta così. Che queste notizie possano riscrivere la storia della pandemia nel nostro paese ne dubitiamo, anche se, in un paese normale, ce ne sarebbe ben donde. Intanto proviamo a tenerci informati e consapevoli, per il resto speriamo nei posteri. Buona visione.

  1. Un frutto neanche tanto ignoto: accadde qualcosa di simile con la Spagnola del 1918; ah già, ma per il nostro Ministro “non c’erano modelli o precedenti utili su cui fare affidamento”… []

Le bare di Bergamo

C’è una questione che nel libro non abbiamo affrontato, ma avremmo dovuto, perché è uno degli snodi essenziali della narrazione pandemica, nonché uno degli “argomenti” più usati (e più odiosamente, vista la delicatezza del tema) per dare addosso ai cosiddetti “negazionisti”: le bare di Bergamo. Proprio per non abbassarci al livello di chi usa ed ha usato questo tragico episodio con intenti strumentali (dall’una e dall’altra parte della ridicola barricata), ci siamo astenuti dal parlarne; ma abbiamo sentito in questi giorni tirare di nuovo fuori la questione (e, come sempre, in modo funzionale, stavolta per tirare le orecchie alla neo-Presidente del Consiglio), per cui ci siamo decisi a studiarci un po’ sopra. Proponiamo qui le cose che abbiamo capito.
Il fatto è noto, assurto agli onori della cronaca durante l’allucinante e allucinato lockdown italiano del marzo-aprile 2020: nella notte tra il 18 e il 19 marzo 2020 alcuni camion militari, scortati dai Carabinieri, trasportano 65 bare di deceduti a causa del Covid-19 dal cimitero di Bergamo, dove il ritmo delle cremazioni non poteva essere più sostenuto, ad altre strutture crematorie in giro per il Nord Italia; sarà il primo di molti altri, come si può leggere in un equilibrato racconto fatto “a bocce ferme” qualche mese dopo. Vicenda tutto sommato abbastanza semplice e ordinaria, un trasporto di salme che, in tempi normali, sarebbe stata fatta con normali carri o furgoni di agenzie di pompe funebri ma che in quel periodo, per l’alto numero di decessi e per le restrizioni Covid, tali agenzie non erano in grado di svolgere, per cui si decise di utilizzare mezzi e personale militare (come anche in altre occasioni emergenziali si era fatto). Tuttavia l’immagine fa il giro del mondo e contribuisce non poco al diffondersi del panico, non solo in Italia (alcuni esempi, qui e qui); e la vicenda, amplificata dal racconto emozionale dei media (altri esempi qui e qui) e caricata di significati dalla narrazione istituzionale e popolare, diventa ben presto un emblema inossidabile della tragedia che ci ha colpito, a tal punto che la data del 18 marzo sarà addirittura proclamata “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di coronavirus”, celebrata anche nell’anno in corso.
Tuttavia, se si cerca di approcciare l’argomento con uno spirito più laico e meno emozionale (e in tal modo, secondo noi, anche con maggiore rispetto per chi ne ha sofferto), ci si accorge che l’evento è sì emblematico, ma non tanto (o solo) della tragedia, quanto piuttosto della assurdità della nostra risposta alla pandemia, dell’isteria e del panico ai quali ci siamo abbandonati in quel disgraziato frangente, della disorganizzazione e improvvisazione che abbiamo messo in campo in assenza di un adeguato piano pandemico (che dovevamo avere da almeno un decennio e che invece non avevamo).
Per spiegarci partiamo proprio da un Piano Pandemico, ma non il nostro, quello inglese datato 2011 (e vigente allo scoppiare della pandemia di SARS-CoV-2) il quale, sull’argomento della preparazione ad un atteso aumento della mortalità, a pag. 17 afferma quanto segue: “quanto ai decessi, l’analisi rimane che fino al 2,5% delle persone con sintomi morirebbe a causa dell’influenza se nessun trattamento si rivelasse efficace. Ci si potrebbe aspettare che queste cifre vengano ridotte dall’impatto delle contromisure, ma l’efficacia di tale mitigazione non è certa. Tuttavia la combinazione di tassi di attacco particolarmente elevati e una malattia grave è relativamente (anche se non sappiamo quanto) improbabile. Tenendo conto di ciò e della praticabilità dei diversi livelli di risposta, quando si pianificano le morti in eccesso, i pianificatori locali dovrebbero prepararsi ad estendere la capacità su base precauzionale ma ragionevolmente praticabile e mirare a far fronte a un tasso di mortalità della popolazione fino a 210.000 – 315.000 ulteriori decessi, possibilmente in un periodo minimo di 15 settimane e forse la metà di questi in tre settimane al culmine dell’epidemia. Circostanze più estreme richiederebbero che la risposta locale fosse combinata con altri sostegni a livello nazionale.
Sorvoliamo sul fatto che, secondo tale pianificazione, né in Gran Bretagna (che dopo le prime 15 settimane aveva avuto circa 40.000 morti di COVID-19) né in Italia (che nello stesso periodo ne aveva avuti 35.000, con un eccesso totale rispetto alla media degli anni precedenti di 51.000 morti) si sono mai raggiunti i livelli di mortalità in eccesso che, secondo il piano pandemico inglese, ci si potrebbe aspettare ragionevolmente durante un’influenza pandemica per la quale non esistesse trattamento efficace e che provocasse la morte del 2,5% di coloro che la contraggono (è il tasso di letalità che, per il Covid-19, si è attestato ben al di sotto dell’1%). Andiamo invece ad analizzare nel dettaglio i parametri proposti dal piano pandemico inglese (in assenza di un analogo italiano) e confrontiamoli con la situazione verificatasi a Bergamo ed in Lombardia in quei giorni di passione.
Il piano inglese specifica:
1) innanzitutto che la situazione descritta sia da prevedersi (come scrivono P. Stanig e G. Daniele nel loro ottimo Fallimento Lockdown, Ed. Bocconi, 2021 a pag. 18) “sotto l’assunto che alla pandemia si risponda con le misure contenute nel piano. Sono perciò stime del numero dei morti nonostante le misure anti-pandemiche contenute nel piano, non del numero di morti se non si fa niente”;
2) che la pianificazione per questo pur alto livello di mortalità in eccesso va fatta a livello delle istituzioni locali, le quali devono attrezzarsi opportunamente; solo nel caso di “circostanze più estreme” tale azione locale andrebbe supportata da altre azioni a livello nazionale;
3) che questa pianificazione locale deve essere ragionevolmente praticabile e mirata ad affrontare un eccesso complessivo di mortalità di 210-315.000 unità (per un paese di 67 mln di abitanti) nelle prime 15 settimane di pandemia (circa 3 mesi e mezzo, 105 giorni), con la metà di questo eccesso concentrato nelle 3 settimane di culmine; quindi parliamo di un eccesso di 30-45 morti al giorno per milione di abitanti nelle 15 settimane, e di un eccesso di 75-112 morti al giorno per milione di abitanti nelle 3 settimane di culmine. Per la cronaca, questo è lo scenario che, nel piano, si considera ragionevole aspettarsi; quello peggiore, secondo il documento guida del 2008 (basato sull’analisi delle pandemie del XX secolo) che sta alla base della pianificazione pandemica, prevedrebbe di prepararsi ad un eccesso di mortalità di 750.000 morti nelle prime 12-15 settimane (cioè fino a 133 morti al giorno per milione di abitanti e fino a 267 nelle 3 settimane di picco).
Andiamo ora a vedere i dati della Lombardia (10 mln di abitanti), della provincia di Bergamo (1,2 mln) e del comune di Bergamo (0,12 mln), calcolati da noi sulla base dei dati ISTAT e riassunti nelle due seguenti tabelle:

Quindi, se Bergamo e la Lombardia fossero stati rispettivamente una città ed una contea inglesi, anche nel momento peggiore della pandemia si sarebbero ritrovate ben organizzate nel far fronte alla situazione, senza trovarsi nell’incapacità di gestire i servizi cimiteriali, senza dover accumulare le bare, senza dover esportare i defunti per la cremazione, senza trovarsi a corto di personale e strutture tanto da dover mobilitare l’Esercito.

Si deve altresì notare che, tra i principi cardine del piano pandemico inglese, sono contemplati due aspetti considerati basilari ed ineliminabili anche in una situazione di estrema emergenza:

  • i funerali e i servizi cimiteriali devono essere sempre assicurati e con la massima cura (“misure e modalità di lavoro introdotte per gestire il defunto dovrebbero garantire il mantenimento di un adeguato livello di dignità e rispetto; le persone in lutto dovrebbero essere trattate con cura e compassione e i loro desideri per il defunto dovrebbero essere rispettati ove possibile” – Documento Gestire il defunto durante una pandemia, marzo 2020);
  • non si dovrebbe usare il personale militare per gestire attività durante una pandemia (“I piani di resilienza pandemica non dovrebbero (…) presumere che le unità militari locali forniscano supporto o dispongano di personale con le competenze o le attrezzature necessarie per svolgere compiti specialistici. Laddove la capacità civile o la capacità di fornire un servizio essenziale sia superata a causa di una pandemia, e se tutte le altre opzioni per fornirlo sono state esaurite, il Ministero della Difesa tenterà di fornire assistenza attraverso i normali processi, se ha adeguate risorse disponibili”).

Un po’ diverso da quello che abbiamo fatto in Italia in generale e a Bergamo in particolare…

Al termine di tutta questa lunga analisi sorgono, perciò, alcune considerazioni e domande.

La prima è la più semplice e l’abbiamo già evidenziata: è stata l’assenza di un piano pandemico degno di questo nome a farci cadere nel panico e a costringerci, nella generale impreparazione e disorganizzazione, ad adottare soluzioni estreme, non la straordinaria gravità della pandemia. E che tale gravità della situazione possa essere stata anche (almeno in parte) generata dalle nostre azioni sconsiderate è più che un’ipotesi (si pensi ad esempio alla surreale vicenda delle RSA del bergamasco, dove si è verificato oltre il 20% dell’eccesso di mortalità totale del primo semestre 2020, vicenda oggetto di indagini della magistratura e ben raccontata da questo articolo di Altreconomia).

La seconda è che, sebbene sia evidente che su Bergamo c’è stato un impatto di mortalità in eccesso decisamente importante nel mese di marzo 2020, la situazione in Lombardia non è mai stata realmente critica: era impensabile cercare di ridurre il peso sui territori in difficoltà ripartendolo tra i territori limitrofi che soffrivano di meno?

La terza riguarda la cremazione dei cadaveri, per la quale il cimitero di Bergamo ha una capacità di 30 salme al giorno, ben al di sotto delle 150-200 necessarie in quel periodo di picco, di qui la scelta di trasferire le salme presso altri crematori (anche con lunghi viaggi, perché tali strutture non sono così diffuse). La domanda, quindi, sorge spontanea: perché mai si dovevano cremare tutti i morti? Perché non si è cercata la soluzione più semplice, cioè quella di approntare magazzini (di sicuro i capannoni sfitti non mancano nell’industriosa provincia lombarda) per lo stoccaggio delle bare, in attesa della normale sepoltura, anche a settimane di distanza (così come ad esempio previsto esplicitamente nella pianificazione inglese)? E, oltre alle grandi difficoltà gestionali riscontrate, quanto dolore sarebbe stato risparmiato in tal modo alle famiglie dei defunti?

La quarta riguarda la spettacolarizzazione della grave situazione bergamasca. Non vogliamo dire che tale spettacolarizzazione sia stata ricercata o voluta, ma che essa si sia verificata è un fatto e che non si sia avuta abbastanza cura nell’evitarla è altrettanto evidente. Basta guardare i video e le foto apparsi sui media che abbiamo linkato sopra (quello della BBC con la cronaca di Severgnini che dice di “non voler spaventare nessuno” è esemplare): perché organizzare un corteo notturno per le strade deserte? Come si fa a sperare di non essere notati? Perché invece non effettuare i trasferimenti un camion per volta, di giorno, senza le scorte dei Carabinieri (peraltro inutili data l’assenza di traffico) a sottolinearne la straordinarietà? E qualcuno ha avuto anche il coraggio di dire che “organizzammo di sera il primo trasferimento il 18 marzo perché volevamo fare meno clamore possibile”… (ma si legga tutto l’articolo da cui è tratta la citazione, perché è un susseguirsi di racconti agghiaccianti fino all’ultima frase).

La quinta e ultima considerazione è la più elementare di tutte: se una certa delimitata porzione del nostro territorio nazionale si trovava in una situazione di emergenza (e vogliamo prescindere da quanto detto sopra riguardo alle cause praticamente “autoinflitte”), perché mai si è deciso di mettere in lockdown tutto il territorio nazionale (in cui non c’era alcuna emergenza) invece che solo la porzione che se ne sarebbe giovata, producendo in tal modo su larga scala danni di cui non abbiamo ancora piena contezza, senza ottenerne alcun beneficio? Poteva valere l’assurda considerazione che il ministro Speranza propone nel suo libro fantasma Perché guariremo (Feltrinelli, 2020)? Citiamo testualmente da pag. 114: “abbiamo forse sottovalutato l’impatto emotivo di una misura così radicale [il lockdown localizzato alla zona rossa del Nord Italia, disposto il 7 marzo – n.d.r.]. (…) L’impressione di un Paese che si sta spaccando sulla paura del contagio è molto forte. Ci accorgiamo in poche ore che l’unica strada è estendere le misure all’Italia intera. Non si può lasciar pensare agli italiani che ci siano regioni dove ‘si sta meglio’.” Cioè meglio far stare male tutti, invece che solo alcuni, per non fare discriminazioni, in una sorta di “mal comune, mezzo gaudio”? Un vero nonsenso…

Quindi sì, le bare di Bergamo ci interpellano ancora oggi. E le risposte non sono facili (o lo sono troppo).

La discesa

Avevamo concluso il post precedente dicendo che non c’è nulla di nuovo. Beh non è del tutto esatto: l’inedito approccio italico al COVID gestito con la logica della lotta a qualunque costo, compreso l’annullamento dei più elementari diritti costituzionali in nome di una fantomatica salute biologica, ha creato – come più volte paventato in questo blog – un precedente inquietante e pericoloso, potenzialmente foriero di vulnera gravi e virtualmente illimitati alla nostra vita democratica, come acutamente (e più incisivamente di noi) denunciava anche questo volantino che, mesi fa, tappezzava i muri di Roma.

È questa, infatti, l’impressione che ci ha fatto il leggere, nel programma della forza politica che ha vinto le ultime elezioni italiane, il proponimento di rafforzare “la medicina predittiva con un meccanismo di premialità nell’accesso al sistema sanitario per chi segue un regolare e concordato percorso di monitoraggio dello stato di salute”.

Fa specie leggere, all’interno di un programma in materia sanitaria che, al di là delle logiche di appartenenza politica, non possiamo che, in linea generale (e segnatamente sul COVID), condividere, un simile scivolamento verso lo stato etico, uno stato “morale” che stabilisce chi ha diritti e chi no. Fa specie, ma non stupisce, dopo che la parte politica opposta, al governo negli anni della pandemia, ha sdoganato tale nefasto (e anticostituzionale) principio con l’istituzione del green-pass all’italiana (più tardi addirittura super-green-pass), un abominio grazie al quale il cittadino virtuoso, che segue tutti i dettami scientifici assunti dal governo di turno come norma imperativa, è premiato col mantenimento del diritto a lavorare, istruirsi, muoversi liberamente, mentre chi dissente (ad es. esercitando il diritto – umano, prima ancora che costituzionale – a non sottoporsi ad un trattamento sanitario) diventa automaticamente un paria e viene perciò punito, con la privazione di quegli stessi fondamentali diritti. E, quello che è peggio, tutto ciò in nome di un principio oltremodo opinabile – ed anzi, per sua stessa natura, confutabile – come quello della scientificità, in questo caso della posizione governativa (non dimentichiamoci che anche le famigerate leggi razziali del 1938 erano considerate come basate scientificamente e, per questo, appoggiate da fior di scienziati).

Insomma, come temevamo, dal green-pass in poi è tutta discesa…

P.S. – Nello stesso programma di governo si prevede anche di istituire “una commissione d’inchiesta sulla gestione medica ed economica della pandemia da Covid-19 nonché sulle reazioni avverse da vaccino”. Aspettiamo al varco il nuovo esecutivo su questo argomento, purtoppo – lo dobbiamo dire – senza nutrire particolare fiducia. Anche perché nei paesi più civili del nostro (come ad esempio il Canada) non c’è bisogno di cambiare un governo per fare chiarezza sul suo operato…