I NUMERI (agg. 23.10.20)

DELLA PANDEMIA DI SARS-COV-2 E DEL COVID-19 LETTI DALL’UOMO DELLA STRADA

(riflessioni pubblicate il 30 giugno 2020, ultimo aggiornamento parziale del 23 ottobre)

Questa pagina è stata archiviata perché il nuovo aggiornamento del novembre 2020 ha modificato sostanziosamente la sezione “I NUMERI”; ho pensato di lasciarla comunque a disposizione per eventuali approfondimenti.

NOTA IMPORTANTE: queste riflessioni sono state periodicamente integrate con i dati aggiornati, mano a mano che uscivano, ma, fino alla data di archiviazione (2 novembre 2020), le conclusioni che emergono dai dati non sono mai cambiate sostanzialmente dalla prima edizione del 30/6.

INDICE

PREMESSA

Di virus so molto poco, perciò su questo piano non mi pronuncio (sebbene quel poco che ricordo dell’esame di biologia di quarant’anni fa, qualche domanda me la ponga…). Ma di conto ci so fare sin dalle scuole elementari e se c’è una cosa che, della pandemia di SARS-CoV-2 e del COVID-191, non sono mai riuscito a capire sono i numeri.

Sentire propinare di continuo numeri assoluti, mai messi in relazione ad altri dati, va contro quel poco che so di statistica (praticamente nessun fenomeno può essere spiegato in questo modo) e, soprattutto, mi sembrava alquanto preoccupante che, su dati di fatto insigificanti, qualcuno potesse basare scelte politiche od operative…

Allora ho cercato le fonti di questi numeri nei siti istituzionali e, se da un lato ho scoperto che molti dati significativi esistono (e sono abbastanza facilmente disponibili), dall’altro ho capito che se volevo cercare di comprendere qualcosa di questa pandemia dovevo cercare di interpretarli da solo, perché né le istituzioni (ISTAT esclusa), né tanto meno i media sembrano accorgersi dell’infondatezza ed incoerenza di ciò che comunicano.

La cosa – di per sé, come detto, piuttosto preoccupante, per le sue implicazioni – ha però almeno un lato positivo: anche la mia lettura “da uomo della strada” del fenomeno è legittima, visto che parte dagli stessi dati istituzionali e di pubblico dominio, e semmai va confutata a partire dai medesimi numeri…

Queste le fonti a cui ho attinto:

Tutti i grafici e tabelle di questo documento sono copiati ed incollati dai report ufficiali degli organismi di cui sopra, tranne che nei pochi casi segnalati (che comunque utilizzano i dati ufficiali degli stessi organismi).

E, prima di cominciare, lo ribadisco: queste sono mie personali riflessioni, di persona ignorante sia di medicina, sia di statistica, sia di epidemiologia; non pretendo di avere argomentazioni inoppugnabili o che possono incrollabilmente reggere al vaglio di esperti nelle varie materie, ma avevo delle domande a cui non trovavo risposte esaurienti nelle spiegazioni dei media e dei loro esperti di turno o nelle dichiarazioni istituzionali, perciò ho cercato le risposte da solo, appuntandomele di volta in volta, per non scordarmene. E questi sono, quindi, solo i miei appunti…

Domanda n. 1 – Quanti sono veramente i contagiati?

Dare solo il numero assoluto dei contagiati, come è stato fatto da istituzioni e media sin dall’inizio della pandemia, non ha alcun significato, perché esso dipende da molti fattori, il più “banale” dei quali è la quantità di tamponi che vengono effettuati (è un principio logico basilare, mi pare: più cerco, più trovo…). Allora abbiamo necessità di mettere in relazione il numero dei positivi almeno con la quantità di tamponi che abbiamo effettuato:

Fonte: 24Lab – Il Sole 24 Ore – 23/10/20

La linea rossa indica il rapporto percentuale tra il numero di nuovi casi di SARS-CoV-2 e il numero dei tamponi effettuati (colonnine in grigio); il grafico ci fornisce, quindi, una stima sensata del contagio rilevato, ma ovviamente non ci dice nulla sul contagio reale, perché i tamponi non sono effettuati su un campione rappresentativo della popolazione o almeno su un campione casuale, ma su categorie mirate (peraltro generalmente a rischio). Quindi, nonostante i proclami delle istituzioni preposte e dei media, in questi mesi (fino al 3/8) non abbiamo mai avuto un dato sensato ed utile per avere un’idea della diffusione del virus in Italia.

Tuttavia un paio di considerazioni si possono fare anche a partire dal dato, pur parziale, del contagio rilevato: la prima è che nella seconda metà di aprile il rapporto tra contagiati e testati è sceso sotto il 4% e dalla terza settimana di maggio è addirittura sotto l’ 1%, perciò a quanto pare dal 4/5 si poteva passare direttamente alla riapertura totale, invece che alla Fase 2, e l’attuale Fase 3 è stata sostanzialmente priva di senso sicuramente per tutta l’estate ed anche oggi, in cui è atteso un naturale aumento dei contagi nella stagione fredda (il rapporto nuovi contagiati/testati, da una decina di settimane è in crescita, dapprima lenta, poi con una curva sempre più ripida, e al momento si attesta sull’8%, ma aumenterà ancora), non sembra supportata dai dati, almeno non da quelli – secondo me, gli unici importanti – sulla malattia e la gravità delle sue conseguenze (come si vedrà più avanti). La seconda considerazione è invece più generale: temo infatti che sia molto indicativo del clima della comunicazione istituzionale e dei media in questo periodo, il fatto che l’unico dato minimamente sensato sui contagi (cioè numero di nuovi positivi su tamponi effettuati) sia ancora oggi del tutto assente nei report dei due principali propinatori istituzionali di dati (ISS e Protezione Civile, compresi i ben noti bollettini di guerra giornalieri in tv) e nella sezione Covid del sito del Governo, nonché, di conseguenza, nelle sintesi dei media2; infatti è l’unico dato che ancora oggi un fruitore normale può reperire solo da fonti non istituzionali. Ma anche di questo parleremo più avanti.

Comunque, come detto, dal 3 agosto 2020 possiamo finalmente avere una stima affidabile delle dimensioni del contagio e della malattia in Italia grazie alla “Indagine di sieroprevalenza sul SARS-CoV-2” dell’ISTAT, questa sì effettuata su un campione significativo e di cui è stato pubblicato un report preliminare3.

Perciò, dopo 5 mesi, abbiamo avuto una prima risposta alla domanda n. 1: al luglio 2020, i contagiati dal virus in Italia erano quasi 1,5 milioni, pari al 2,5% della popolazione.4 Si noti che, nello stesso mese di luglio 2020 i contagiati rilevati dai tamponi erano circa 243.000, meno di 1/6 di quelli reali.

Il grafico che segue mostra il dettaglio della diffusione territoriale:

Da questi dati desumiamo che:

  • il virus SARS-CoV-2 circola nel nostro paese da più tempo di quello che pensavamo5;
  • il virus è molto più diffuso di quello che pensavamo (6 volte di più di quanto avevamo rilevato con i tamponi nello stesso periodo; addirittura, come si dirà più avanti, stime OMS ad oggi ritengono che, nel mondo, almeno il 10% della popolazione sia stato contagiato, ben 24 volte di più rispetto a quanto proclamano istituzioni e media qui da noi);
  • la diffusione presenta notevoli differenze territoriali, con tutto il centro-sud ampiamente al di sotto della media nazionale;
  • il virus è comunque relativamente poco diffuso nel nostro paese, presumibilmente grazie alle misure di contenimento adottate ed al lockdown “duro” applicato su tutto il territorio nazionale;
  • siamo ben lontani dalla cosiddetta “immunità di gregge”, forse comunque difficile da raggiungere, ma certamente per noi impossibile, avendo inibito la circolazione del virus anche nella stagione calda (quando le complicanze sono naturalmente meno presenti).

Domanda n. 2 – Quanto si muore di Covid-19?

La risposta è il tasso di letalità (cioè il rapporto tra morti e contagiati).

Purtroppo però si tratta di un altro dato che, in corso di epidemia, è difficile calcolare: infatti, mentre conosciamo con una approssimazione accettabile il numeratore (i morti), non conosciamo affatto il denominatore, non avendo il numero (o una stima) dei contagiati reali, ma solo dei contagiati rilevati con i tamponi (con le distorsioni sopra dette).

Comunque, l’Istituto Superiore di Sanità questi calcoli li fa e li propone periodicamente nei suoi report:

Fonte: Lab24 su dati ISS

Per quanto sopra detto, tuttavia, il tasso di circa il 10,1% che si ottiene dal rapporto morti/tamponi positivi, non ha alcun significato, sebbene sia ancora oggi sbandierato abbondantemente anche dai siti istituzionali6; infatti un tasso di letalità sensato può essere calcolato soltanto ora che, grazie all’indagine ISTAT sopra citata, abbiamo una stima affidabile del denominatore.

Pertanto, grazie ai risultati dell’indagine ISTAT (e non ai tamponi effettuati), una prima risposta parziale alla domanda n. 2 è che, in Italia, muoiono con (ma, come vedremo, non necessariamente per) COVID-19 circa il 2,4% di quelli che contraggono il virus SARS-CoV-2, una percentuale non piccola, ma ben lontana dall’allarmante 14,4% dato da ISS alla stessa data (e anche dal 10,1% odierno di cui sopra).7

Il grafico percentuale qui sopra, traslasciando la fuorviante colonna della letalità, ci può comunque dare un’idea per così dire “qualitativa” della situazione, che appare non dissimile a quella creata da altre infezioni virali come ad es. l’influenza stagionale: muoiono principalmente anziani sopra i 70 anni (87,8%) ed il numero di persone che muoiono sotto i 50 anni è percentualmente irrilevante (0,9%).8

Di qui la terza domanda.

Domanda n. 3 – Chi muore di Covid-19?

Ci vengono in aiuto i grafici che seguono (con le spiegazioni della stessa ISS), i quali confermano quanto appena detto.

Fonte: ISS – Report 7/9/20
Mia elaborazione dai dati ISS del 7/9/20

Quindi la risposta alla domanda n. 3 è:

  • muoiono principalmente persone anziane (almeno la metà dei deceduti ha oltre 82 anni e la media è di 80 anni, a conferma dell’irrilevanza percentuale dei morti sotto i 50 anni);
  • muoiono principalmente persone con molteplici patologie concomitanti (oltre l’80% dei morti aveva almeno 2 patologie gravi) e in questo, il Covid-19 non sembra comportarsi diversamente da altre infezioni virali con cui conviviamo da sempre senza fare troppe storie, come l’influenza stagionale o l’HIV (che però uccide principalmente giovani), solo per fare due esempi a tutti noti.9

A metà luglio è uscita sui giornali la notizia che “9 morti su 10 sono deceduti a causa del covid-19”, dato che sembrerebbe confutare quanto appena detto. In effetti si tratta di una sintesi giornalistica grossolana, estrapolata in modo spregiudicato da un rapporto ISTAT-ISS10, il quale in realtà dice che, dall’analisi di circa 5.000 (su 35.000) rapporti di morte redatti dai medici curanti, risulta che, nell’89% dei morti positivi al SARS-CoV-2, il COVID-19 è da considerarsi la causa iniziale, cioè “la causa che ha avviato la sequenza di eventi morbosi che hanno condotto al decesso” (secondo i criteri definiti dall’OMS), senza la quale, cioè, il decesso non si sarebbe verificato. E’ tuttavia altrettanto vero che nel 72% dei casi si sono verificate delle “concause di decesso preesistenti a COVID-19” cioè “malattie, traumatismi o circostanze esterne che hanno avviato sequenze di eventi morbosi indipendenti tra loro o che hanno contribuito al decesso aggravando le condizioni del paziente o il decorso della malattia” essendo pertanto “cause rilevanti e corresponsabili del decesso”: possiamo perciò dire che anche senza il COVID-19 queste persone sarebbero probabilmente decedute, sia pure in tempi diversi. Infatti “l’aumento della sopravvivenza della popolazione italiana, grazie alla riduzione dei livelli di mortalità a tutte le fasi della vita, ha fatto sì che oggi molti individui, soprattutto nelle età più avanzate, convivano con diverse malattie croniche. Pertanto, il decesso rappresenta spesso il risultato della concomitanza ed interazione di diverse malattie. Inoltre, la presenza di malattie croniche conferisce una vulnerabilità ed un aumentato rischio di mortalità in caso di eventi intercorrenti, come ad esempio le infezioni”. Quindi il nuovo rapporto non contraddice affatto i dati precedenti11.

Domanda n. 4 – Chi si ammala di COVID-19?

Qui la questione è complicata soprattutto da una perniciosa ambiguità costantemente reiterata dal sistema di comunicazione ufficiale e dei media (contagiati=malati) che, come più sotto vedremo, è completamente errata. Ma andiamo con ordine.

L’indagine sierologica ISTAT ha rilevato la seguente ripartizione del contagio SARS-CoV-2 per sesso ed età:

La positività al SARS-CoV-2 è quindi equamente diffusa tra uomini e donne ed abbastanza equamente distribuita nelle diverse fasce d’età.

Raggruppando questi dati in un grafico a torta simile a quello che viene periodicamente diffuso da ISS, possiamo notare che il virus SARS-CoV-2 contagia di fatto tutte le fasce d’età; segnatamente, quasi la metà dei contagiati ha meno di 50 anni, ma abbiamo già visto che solo lo 0,9% dei morti appartiene a questa fascia d’età, mentre l’87,8% dei morti riguarda la fascia sopra i 70 anni, la quale però costituisce solo il 18,7% dei contagiati.

Mia elaborazione dai dati del rapporto ISTAT 3/8/20

Quindi SARS-CoV-2 non contagia solo gli anziani, ma anzi contagia soprattutto i giovani; tuttavia sono gli anziani che possono avere le conseguenze più gravi.

Ad ulteriore riprova di ciò, i dati ISS (pur se parziali, come abbiamo visto all’inizio, perché basati sui risultati dei tamponi) ci dicono che l’età mediana dei contagiati (al 7/9) è di 58 anni12, mentre sappiamo che l’età mediana dei morti è 82 anni, con una differenza di ben 24 anni.

Ma qui è d’obbligo fare un passo in più, per capire ciò che effettivamente ci ha colpito in questi mesi.

Fonte: ISTAT 3/8/20

L’indagine ISTAT (grafico qui sopra) certifica che quasi il 30% dei contagiati nel nostro paese è completamente asintomatico13. E qui si vede, quindi, la fondamentale distinzione tra contagiati (tutta la torta) ed i malati (solo i settori grigio e blu scuro).

Fonte: ISS 23/10/20

I dati dell’ISS di questo secondo grafico, raccolti sulla platea dei tamponi (che comunque, lo ripetiamo, non costituisce un campione rappresentantivo della popolazione), sono ancora più contrastati, originando anche da una differente modalità di rilevazione (cfr. nota 7). Questo grafico (relativo a circa 138.500 dei 442.000 positivi rilevati con i tamponi, alla data del 23/10) mostra innanzitutto le differenze nello stato clinico dei soggetti nelle varie fasce d’età, evidenziando che le conseguenze più gravi (stato clinico severo, con necessità di ospedalizzazione, e critico, con ricovero in terapia intensiva) occorrono maggiormente nella popolazione più anziana, rispondendo così alla domanda n. 4: il virus può contagiare tutti, ma si ammalano gravemente soprattutto i più anziani e fragili.

Tuttavia il grafico, oltre a mostrare con chiarezza la differenza, che abbiamo già rilevato, tra contagiati (tutti) e malati (solo le quote in giallo, arancio e rosso), evidenzia anche che, non solo dal 45 al 75% dei contagiati (a seconda della fascia d’età) non sviluppa la malattia, ma addirittura arriviamo a percentuali fino all’85% se agli asintomatici aggiungiamo quelli che sviluppano una malattia insignificante (i paucisintomatici) ed a percentuali tra il 75 ed il 99% se ci aggiungiamo anche i malati con sintomi lievi (come quelli di una semplice influenza). Si noti anche che la percentuale di condizioni severe e critiche diminuisce nella fascia d’età da 90 anni in su: questo si spiega probabilmente (ma è solo una mia congettura) col fatto che gli individui che raggiungono in salute un’età elevata, hanno una fibra fisica più forte degli altri e ciò potrebbe avvalorare ulteriormente la tesi che uno stato di fragilità della persona è condicio sine qua non per gli esiti più infausti della malattia.

La risposta alla domanda n. 4, quindi, si precisa ulteriormente: il virus può contagiare tutti, ma solo una parte dei contagiati si ammala e, di questi, si ammalano gravemente quasi esclusivamente i più anziani e/o fragili.

Questi dati, infine, suggeriscono anche una riflessione più generale: c’è una differenza sostanziale tra contagiati di SARS-CoV-2 ed i malati di COVID-19 e contare solo i primi, come abbiamo fatto in questi mesi (e continuiamo a fare), è evidentemente fuorviante; ammesso, infatti, che i numeri sull’andamento del contagio (che comunque abbiamo già visto essere poco significativi nei valori assoluti, prima dei risultati dell’indagine ISTAT) possano essere utili ai modelli matematici degli epidemiologi, tuttavia non hanno alcun senso concreto né per la popolazione (a cui dovrebbe interessare sapere se si ammalerà e non se è positiva al tampone) né per il decisore politico, che deve prendere determinazioni concrete per il bene complessivo della collettività, in tutti i suoi molteplici aspetti, non solo (e neanche principalmente) sanitari.

E, in effetti, a questo punto il sospetto che il decisore politico abbia operato le sue scelte sulla base di valutazioni poco sensate, non sembra così peregrino… E fa sorgere un’ulteriore domanda.

Domanda n. 5 – Abbiamo fatto le scelte giuste in Italia?

Una prima considerazione su come è stata affrontata la pandemia COVID-19 emerge da questo grafico, in cui l’ISTAT cerca di spiegare l’incremento di mortalità del 2020 (linee blu) rispetto ai dati degli stessi periodi nel quinquennio 2015-2019.14

Fonte: ISTAT 4/6/20

Tale incremento è infatti solo in parte spiegato dalle morti con COVID-19 (linee gialle). Di fatto la restante parte dell’eccesso di morti non si spiega, se non come mortalità COVID non rilevata o mortalità indiretta causata dalla crisi del sistema ospedaliero.

È interessante notare che l’andamento della curva delle linee blu (eccesso di morti) è sostanzialmente uguale nei due grafici (maschi e femmine), mentre non lo è quella gialla (in quanto di COVID muoiono più maschi che femmine). A mio parere – ma è solo una mia ipotesi, che avrebbe bisogno di ulteriori dati a supporto – queste curve suggeriscono che tante persone siano morte perché non ci si è occupati di loro, preoccupati come eravamo soprattutto per i malati COVID, o perché semplicemente non sono andate in ospedale per paura di contagiarsi e/o per rispondere agli appelli delle autorità che in quei giorni esortavano a non recarsi negli ospedali se non per motivi urgenti (e mentre i giornali titolavano con eccessiva semplificazione, creando ulteriore confusione).15 Non si può tuttavia ragionevolmente concludere che, per quanto suggestiva, questa sia l’unica spiegazione del surplus di morti; da un interessante studio (pure se di qualche mese fa) risulta, infatti, più plausibile uno scenario in cui “l’epidemia abbia provocato sia un elevato numeri di morti indirette, sia un elevato numero di decessi dovuti al Covid-19 che non sono stati certificati tali. La percentuale delle morti indirette rispetto a tutte quelle in eccesso varia in Lombardia tra il 20% e il 35%, mentre in Emilia-Romagna tra il 20% e il 30%, quindi il risultato sembra robusto e dirci che circa un terzo dei decessi sono ‘danni collaterali’ dell’epidemia. La percentuale delle morti Covid non certificate rispetto al totale dei decessi dovuti al virus varia in Lombardia tra il 15% e il 30%, mentre in Emilia-Romagna varia tra il 10% e il 22%. Anche questo risultato sembra ragionevole, sulla base dell’osservazione che nelle zone piú colpite dall’epidemia i decessi Covid che non si è riusciti a certificare con il tampone sono in percentuale maggiore.”16

La tendenza si inverte dopo il 20/4, secondo l’ISTAT, per la riduzione (favorita dal lockdown) della pressione sul sistema sanitario e/o per il miglioramento della sua performance, nonché per il cosiddetto “effetto harvesting” (un’anticipazione di decessi che sarebbero comunque avvenuti nel breve periodo, mentre successivamente si assiste a una diminuzione della mortalità, dato che i più fragili sono già morti).

La questione è confermata nel rapporto ISTAT del 9/7:

Come si può vedere il tasso di mortalità generale in Italia nel 2020, rispetto allo stesso periodo nel quinquennio 2015-19, era in diminuzione a gennaio e febbraio mentre si impenna a marzo ed aprile, per poi tornare negativo a maggio. Già sappiamo dal grafico precedente che tale impennata non è solo motivata dai morti Covid (comunque rilevanti), tuttavia questa tabella ci dice di più e cioè che tale andamento anomalo non si è verificato solo nelle zone ad alta diffusione di COVID-19, ma anche nelle altre zone d’italia meno colpite dalla pandemia; e soprattutto ci dice che, in queste zone a media o bassa diffusione, l’incidenza dei morti per COVID-19 è enormemente più bassa e spiega ancora meno l’inversione di tendenza rispetto al gennaio-febbraio.

Quindi, nei primi 5 mesi dell’anno:

  • è morta molta più gente degli scorsi anni;
  • non sono solo i morti Covid “ufficiali” a costituire questo surplus;
  • vi sono stati morti Covid non computati nelle cifre ufficiali,
  • ma molti sono morti anche perché non hanno ricevuto o non hanno richiesto le cure necessarie
  • e ciò è avvenuto non solo dove c’era un’alta diffusione di COVID-19, ma in tutta Italia, e soprattutto laddove non vi era alcuna emergenza sanitaria.

Dal confronto dei vari grafici emerge un’ulteriore considerazione di carattere generale: il tasso di positività ai tamponi non ha mai superato il 30%, neanche nella fase di massima emergenza (quando i tamponi disponibili erano pochi e si facevano solo ai sintomatici), mentre all’aumentare dei tamponi effettuati il tasso è sceso sotto il 10% già da metà aprile e, nel mese successivo, è arrivato addirittura sotto l’1%, dove si è stabilizzato per un lungo periodo, fino a ad agosto, salvo, come sopra detto, crescere di nuovo negli ultimi mesi (in cui è stata avviata una nuova massiccia campagna di test ed è ricominciata la scuola), attestandosi dapprima sul 2% e poi cominciando la attesa risalita autunnale, di cui tutti – media ed istituzioni – sembrano meravigliarsi (chissà come mai, dal momento che sappiamo per certo che i coronavirus sono sensibili alla temperatura ambientale); prova di questa generale inconsapevolezza è stata la scelta, a quanto pare poco redditizia, di contenere la circolazione del virus nella stagione estiva, soprattutto tra i bambini ed i giovani, i quali non avrebbero avuto – lo sappiamo – alcuna seria conseguenza ma, nel frattempo, si sarebbero immunizzati almeno per qualche mese, rendendo meno delicata la fase di rientro a scuola e riducendo il rischio di contagio intrafamiliare (che è il più importante meccanismo di diffusione del virus, almeno qui da noi). Se, accanto a questo, si considera anche l’alta incidenza, sul numero dei positivi, di asintomatici, paucisintomatici e sintomi lievi (incidenza che è andata aumentando nel tempo) si può ragionevolmente affermare che la strategia di lockdown generalizzato e prolungato nonché quella della lenta gradualità nelle riaperture, quale che fosse il loro scopo (cioè l’alleggerimento del peso sui servizi sanitari – che nel giro di un mese o poco più è tornato pienamente gestibile – o il contenimento del contagio – dati i piccoli numeri dopo i picchi di marzo e le scarse conseguenze sulla stragrande maggioranaza dei contagiati), non erano e non sono supportate dai dati, così come non lo sono il prolungamento dello stato di emergenza né l’inasprimento delle misure di contenimento in vista della stagione fredda: questa è la prima risposta alla domanda n. 5.

La seconda risposta è che applicare indistintamente lo stato di emergenza ed il lockdown a tutto il territorio nazionale non sembra solo essere stato inutile, ma addirittura deleterio.

E vi è una terza risposta, infine, che emerge in generale da tutto il ragionamento contenuto in queste pagine e si collega alle altre due: la lettura approfondita dei dati disponibili e, soprattutto, la messa in relazione tra loro, possono mostrare una realtà del contagio e della malattia abbastanza differente dalla narrazione dominante, la quale, utilizzando gli stessi dati, ha invece generato uno stato di terrore diffuso tra la popolazione, senza che ve ne fossero – oggettivamente, a giudicare dai dati stessi – reali motivazioni.

Allora il problema non è più solo quello di come si gestisce la pandemia in sé, ma anche di come essa viene raccontata all’opinione pubblica e delle potenziali (anche gravi) distorsioni che si possono generare nel comune sentire.

Certo questo può avvenire anche senza un disegno consapevole da parte di chi comunica, ma qualche dubbio, a questo punto, sembra legittimo. Che dire, ad esempio, di una Protezione Civile che, tanto per non terrorizzare la gente e cercare di attutire l’effetto da “film catastrofico” che i media veicolano in questi mesi, struttura il proprio sito internet in questo modo, decisamente inquietante?

Evidentemente non è importante solo cercare di capire “cosa” ci viene comunicato – e quali ambiguità vi si possano celare – perché anche il “come” richiede una qualche analisi con spirito critico.

Un’ulteriore riflessione dovrà, per concludere, essere fatta prospetticamente sulla scelta italiana di adottare una potente strategia di contenimento del contagio, soprattutto nel periodo estivo, quando il clima caldo avrebbe anche ridotto sostanziosamente i rischi che il contagio sfociasse in malattia. Infatti ci troviamo oggi ad un tasso di contagi ben lontano dalle percentuali tra il 50 ed il 67% (a seconda del numero di riproduzione di base – il famoso R0 – nel range proposto dall’ECDC di 2-3) ritenute necessarie per avere la cosiddetta “immunità di gregge”, cioè una forma di protezione indiretta che si verifica quando la vaccinazione di una parte significativa di una popolazione (oppure quando, come in questo caso, la malattia è stata superata con anticorpi propri, senza vaccinazione) finisce con il fornire una tutela anche agli individui che non hanno sviluppato direttamente l’immunità. Va tuttavia detto che neanche in paesi considerati meno “prudenti” sembra sia riuscita l’operazione “immunità di gregge”: ad es. in Svezia fonti giornalistiche parlano di 10-14% di popolazione contagiata, nonostante che il paese scandinavo non abbia fatto lockdown e non abbia imposto particolari misure di contenimento (ciò probabilmente perché la popolazione si è comunque autolimitata al di là delle poche prescrizioni governative). Occorre comunque sottolineare che un conto è l’immunità di gregge che si ottiene col vaccino (di fatto a costo di vite umane molto limitato), altro è ottenerla attraverso il contagio diffuso della popolazione (che invece comporta in genere un costo più alto in termini di malattia e di vite umane).

Domanda n. 6 – Che succede nel resto del mondo?

L’OMS, dopo una prima classificazione di “epidemia”, ha dichiarato la SARS-CoV-2 una “pandemia”. Ovviamente – ma non è scontato, a sentire i media e, di conseguenza, la gente – ciò non significa che la malattia COVID-19 sia più grave, ma solo che il virus è più diffuso e che, in particolare, è diffuso in tutto il mondo (ad es. anche le influenze stagionali spesso sono pandemie).

Sorge perciò spontanea la curiosità di sapere cosa succede altrove e come gli altri stati si sono comportati; e anche in questo caso i media non ci aiutano, perché dicono tutto ed il suo contrario (complice la difficoltà per gli utenti di verificare le notizie in altre lingue), spesso piegando i fatti ad avvalorare tesi precostituite.

Comunque i dati ci sono e, nonostante l’eterogenietà delle fonti, sono tutti sostanzialmente convergenti, quindi ritengo si possa attribuire loro una certa significatività, pur nel trattamento “casalingo” che ne ho fatto (la tabella sottostante è infatti mia).

Ecco alcuni dati salienti, relativi a paesi con più di 1000 morti (alla data del 17/9) che sembrano avere i dati più affidabili (ad es. con test effettuati almeno su più del 4% della popolazione), ordinati per tassi di mortalità covid crescenti:

Mia elaborazione da dati WHO e Worldometer al 17/09/20

A parte il dato di Cina e India (che richiederebbero una riflessione a parte) saltano all’occhio alcune evidenze:

– le 5 nazioni che (per quanto ne so) hanno adottato il lockdown più duro sono tra le 11 con i tassi di mortalità17 attualmente più elevati, insieme a nazioni (come la Svezia ed il Brasile) che non hanno adottato alcun lockdown (in particolare, la Svezia ha un tasso di mortalità simile al nostro); quindi non sembra esserci evidenza del fatto che il lockdown generalizzato e prolungato sia stato una buona scelta per ridurre la mortalità, rispetto a lockdown selettivi o più blandi o addirittura a nessun lockdown…

– sembra esistere una correlazione tra percentuale di popolazione inurbata e tasso di mortalità: i paesi con i tassi di mortalità più elevati sono anche tra quelli che hanno maggiore concentrazione di popolazione nelle città (superiore all’80%); al momento, fanno eccezione il Perù (60%) e l’Italia (71%); per quest’ultima il dato farebbe pensare che la scelta del lockdown non fosse appropriata per una consistente parte del territorio italiano (su cui insiste un terzo della popolazione nazionale)…

– non sembra essereci una correlazione stretta tra età mediana della popolazione e tasso di mortalità, ma probabilmente il dato è condizionato dalla estrema variabilità nella qualità ed efficienza dei diversi sistemi sanitari nazionali; vi è comunque una situazione curiosa che riguarda Italia e Spagna, che hanno età mediane simili a quelle di Germania e Portogallo (la Germania ha anche una simile percentuale di popolazione inurbata), ma queste ultime hanno tassi di mortalità rispettivamente sei e quattro volte più bassi, nonostante abbiano adottato strategie di lockdown meno dure e meno prolungate rispetto a Italia e Spagna; sembrerebbe, quindi, che il lockdown duro e generalizzato non abbia salvaguardato la popolazione più anziana e fragile meglio di altri approcci al problema (sebbene – va detto – tra le cause di minore mortalità in Germania viene indicata, oltre ad una differente organizzazione della medicina territoriale, anche la scarsa propensione dei giovani a rimanere ad abitare con i propri anziani, riducendo così di gran lunga i rischi di contagio intrafamiliare, invece molto presenti in Italia).

Infine, come già più volte detto, i tassi di letalità non sono invece significativi in questa fase della pandemia (infatti nel tempo sono in costante discesa, all’aumentare dei test effettuati e dei positivi rilevati, un po’ ovunque nel mondo); in effetti si parla anche di “tasso apparente di letalità”, che, per fare un esempio, a livello mondiale era del 4,9% il 2 luglio, del 3,8% il 5/8, del 3,1% il 17/9, del 2,9 il 5/10. E’ però interessante notare che, secondo stime dell’OMS18, almeno il 10% della popolazione mondiale (cioè 770 milioni di persone e non 35 milioni come rilevato dai tamponi, ben 22 volte di più!) sarebbe stata contagiata; questo significa che il tasso di letalità reale nel mondo sarebbe 0,13%, cioè praticamente come quello di altre influenze pandemiche che abbiamo già avuto in passato.

E sono convinto che, con l’ormai grande mole di dati sulla pandemia raccolti nel mondo (dove, lo ricordo, tra emisfero boreale ed australe, in questi pochi mesi abbiamo anche percorso tutte le stagioni climatiche), il quadro generale delle caratteristiche di questa pandemia (bassa letalità, conseguenze severe o critiche solo per una piccola percentuale di soggetti anziani e/o in condizioni di forte fragilità, andamento stagionale) possa ragionevolemente considerarsi consolidato, sebbene, dal punto di vista strettamente virologico, di SARS-CoV-2 si sappia ancora tutto sommato abbastanza poco. Ma questa è solo una mia idea e, per quanto ne so, al momento non vi sono dati univoci a supporto, oltre a quelli che abbiamo visto fino a qui.

CONCLUSIONI

Ho letto gli stessi dati che tutti i giorni, da 8 mesi in qua, ci vengono propinati dai media e dalle istituzioni creando terrore e panico tra la popolazione, ma ne ho ricavato notizie molto diverse, che confutano di fatto le letture più diffuse.

In particolare, a me (e lo sottolineo: a me) appare inequivocabile che:

  • il computo giornaliero dei contagi propinatoci in questi mesi è assolutamente privo di significato;
  • i tamponi positivi sono nell’ordine del 1-2% di quelli effettuati sin dalla metà di maggio; nelle ultime settimane sono costentemente in risalita (attualmente – 23/10 – siamo all’8%, ma aumenteranno, data la stagione);
  • contare questi positivi come se fossero malati è fuorviante (in tutte le fasce d’età, almeno 1/3 dei contagiati non sviluppa la malattia e, tra il 75 ed il 99%, non ha sintomi o ha sintomi insignificanti o sintomi lievi come quelli di una semplice influenza);
  • il SARS-CoV-2 può contagiare a tutte le età, sia i maschi che le femmine;
  • di COVID-19 ci si ammala in non oltre il 20-50% dei casi, a qualunque età, ma sicuramente più raramente e debolmente sotto i 50 anni;
  • di COVID-19 muoiono quasi esclusivamente le persone anziane e/o con malattie concomitanti; la maggior parte dei morti per COVID probabilmente non sarebbe morta in quel momento senza il COVID stesso, ma sarebbe comunque deceduta a breve per altre cause;
  • a causa dell’emergenza COVID (ma, soprattutto, di come questa è stata gestita) è morto un consistente numero di persone per altre malattie o condizioni non connesse alla pandemia, ma che, a causa di quest’ultima, sono state trascurate;
  • il lockdown, in Italia, è sicuramente stato fondamentale nella prima parte della pandemia (la fase 1) per alleggerire l’impatto sui servizi sanitari, ma la fase 2 è stata un eccesso di prudenza di dubbia utilità e la fase 3 sembra essere priva di fondamento, così come il prolungamento dello stato di emergenza;
  • l’effettiva utilità del lockdown completo e prolungato per ridurre la mortalità del COVID-19 è quanto meno dubbia;
  • la dimensione nazionale del lockdown completo è stata, invece, un errore marchiano;
  • la scelta di contenere radicalmente i contagi (con mascherine, distanziamenti, sanificazioni, fino al lockdown duro e prolungato) non ci ha permesso di raggiungere un sufficiente livello di contagio e, quindi, di immunizzazione della popolazione; ciò significa che, insistendo con le strategie di contenimento ad oltranza, potremo raggiungere un adeguato livello di protezione generale solo quando (e direi anche se) si troverà un vaccino per SARS-CoV-2 e questo sarà somministrato ad una ampia porzione di popolazione;
  • va tuttavia anche detto che, a giudicare dalle reali conseguenze del virus sulla popolazione evidenziatesi in questi mesi ed essendo di gran lunga migliorate le capacità di risposta dei servizi sanitari, il non riuscire a raggiungere tale livello di protezione generale presumibilmente non sarà un grosso problema;
  • la grande mole di dati raccolti nel mondo ci da ormai un quadro ragionevolmente consolidato delle caratteristiche di questa pandemia, che provoca la malattia solo in un numero limitato di casi, una malattia a bassa letalità e con conseguenze severe o critiche solo per una piccola percentuale di soggetti anziani e/o in condizioni di forte fragilità; che ha un andamento stagionale ed appare in progressiva endemizzazione;
  • la comunicazione istituzionale è stata ed è ancora oggi, nel migliore dei casi, pessima, se non (viene da pensare, vista la sistematica drammatizzazione di dati pressocché infondati) volutamente terroristica; la comunicazione sensazionalistica dei media è inqualificabile, ai limiti della decenza.

Insomma, io non so cosa accadrà domani, come si evolverà la situazione. Quello che però so per certo è che i dati emersi fino ad oggi sono abbastanza chiari e consolidati da restituire una visione del contagio e della malattia così come certamente è stata fino ad oggi, e che questa visione è radicalmente diversa da quella dominante e accettata – evidentemente in modo acritico – dalla popolazione. Quindi, se tanto mi da tanto, non è la pandemia a dover preoccuparci di più per il futuro…

Infatti, tutti i dati che abbiamo visto fin qui mi portano a presumere che la curva dei contagi, come è ovvio e naturale, crescerà sostanziosamente nella stagione invernale (dapprima lentamente, poi con impennata esponenziale, secondo un andamento ben noto da sempre) e che avremo un certo numero di malati (che il nostro Servizio Sanitario Nazionale sa ormai come gestire) ed ancora un certo numero di morti, ma con numeri sempre minori, essendo ipotizzabile – come accade in genere per i virus – il progressivo adattamento e la conseguente endemizzazione di SARS-CoV-2 nella popolazione.

Ma questo solo secondo me, ignorante uomo della strada…


  1. SARS-CoV-2 è il nome del virus, COVID-19 è il nome della malattia che provoca. Sembra una banalità, ma già aver chiara questa distinzione non è cosa da poco []
  2. Non è del tutto esatto dire che i media non diano i numeri dei tamponi. Infatti, dalla fine di agosto – alla buon’ora – anche la comunicazione mainsteram pare miracolosamente essersi accorta che dire il numero dei contagiati senza dire quanti tamponi sono stati fatti è inutile; purtoppo ancora non si sono resi conto che, se si continua a confondere contagio e malattia, la cosa diventa anche distorsiva della realtà, ma non si può pretendere troppo… []
  3. La ricerca è ancora in corso, in quanto non è stato ancora raggiunto il campione completo di 150.000 persone. I dati si riferiscono ad un campione di circa 65.000 persone, comunque affidabile e rappresentativo della popolazione, grazie anche ai trattamenti statistici che ISTAT ha applicato ai dati disponibili. []
  4. Anche la recente campagna di indagine sierologica sugli operatori della scuola, in previsione della partenza dell’anno scolastico (500.000 testati , con 13.000 positivi), pur non essendo di tipo campionario – e mancando in particolare i più “contagiati” cioè i minori di 20 anni, e gli anziani over 65 – conferma sostanzialmente la percentuale di positività rilevata dall’indagine ISTAT []
  5. Ciò conferma anche quanto scoperto con uno studio in via di pubblicazione dell’Istituto Superiore di Sanità realizzato attraverso l’analisi di acque di scarico raccolte in tempi antecedenti al manifestarsi della COVID-19 in Italia, e cioè che, nelle acque di scarico di Milano e Torino, c’erano già tracce del virus SARS-CoV-2 a dicembre 2019. []
  6. Ad esempio, appare abbastanza singolare che, il giorno 11/8, Ministero della Salute e ISS licenzino un documento importantissimo (“Elementi di preparazione e risposta a COVID-19 nella stagione autunno-invernale”) che parte dalla premessa (riportata al punto 1.1) di un tasso di letalità complessiva del 13,9% (che abbiamo già visto palesemente errato) quando già dal 3/8 era disponibile il pre-rapporto dell’ISTAT sull’indagine sierologica che permette di stimare in maniera molto più affidabile il tasso di letalità al 2,36%: ed è sconcertante che, ancora oggi, nelle infografiche giornaliere dell’ISS e della Protezione Civile non vi sia traccia dei dati ISTAT. []
  7. Per la cronaca, in Lombardia, la regione più duramente colpita dal COVID-19 ed in cui sono presenti più della metà dei contagiati italiani, il tasso di letalità risultava del 2,2%, addirittura più basso della media nazionale. Si noti che questi tassi sono calcolati sul numero dei morti complessivi al 15/7, data in cui si è conclusa l’indagine ISTAT, iniziata il 25/5, e che alla stessa data il tasso di letalità secondo ISS era del 17,6% in Lombardia e, come detto, del 14,4% a livello nazionale. []
  8. Dice ISS nel rapporto del 7/9, l’ultimo disponibile: “Al 7 settembre 2020 sono 399, dei 35.563 (1,1%), i pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 87 di questi avevano meno di 40 anni (58 uomini e 29 donne con età compresa tra i 0 e i 39 anni). Di 9 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri pazienti, 64 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 14 non avevano diagnosticate patologie di rilievo.” []
  9. Segnalo a questo proposito una iniziativa del sito statistichecoronavirus.it che, a partire dai dati sulle condizioni cliniche ed i fattori di rischio, ha elaborato un “Calcolatore di sopravvivenza Covid-19“: una volta superato l’inevitabile sconcerto, si può verificare empiricamente quanto abbiamo detto finora… []
  10. ISTAT – Istituto Superiore di Sanità, “Impatto dell’epidemia covid-19 sulla mortalità: cause di morte nei deceduti positivi a sars-cov-2”, 16 luglio 2020 []
  11. Infine, sotto il profilo metodologico, il rapporto precisa che “è bene tenere a mente quali sono le caratteristiche di questa fonte di dati [la scheda di morte] per comprendere meglio le informazioni che essa fornisce. Innanzitutto, è importante notare che sulla scheda di morte sono riportate le condizioni che hanno avuto un ruolo nel determinare il decesso (sono cause di morte), quindi non sono necessariamente riportate tutte le malattie di cui il deceduto era affetto. Inoltre, la certificazione deve avvenire entro 24 ore dall’evento e il medico deve compilare la scheda secondo scienza e coscienza sulla base delle informazioni possedute al momento della compilazione. È quindi possibile che alcune informazioni rilevanti o dettagli utili a migliorare la specificità delle cause riportate non siano note al certificatore al momento della compilazione” (ed è possibile, aggiungerei, che il medico cui è appena morto un paziente possa orientare il contenuto della scheda in un modo più “difensivo”, specialmente in momenti eccezionalmente difficili come questi). Pertanto, fenomeni di distorsione sistematica dei dati possono, in questo caso, essere verosimilmente presenti. []
  12. L’età mediana dei contagiati non è un dato attualmente rilevabile nell’indagine di sieroprevalenza dell’ISTAT; tuttavia, data la sostanzialmente equa distribuzione del contagio nelle diverse fasce d’età della popolazione, è lecito attendersi che l’età mediana dei contagiati sia ancora più bassa, presumibilmente prossima all’età media della popolazione italiana (che è di 47 anni). []
  13. Va qui ricordato che l’indagine sui sintomi effettuata dall’ISTAT e sintetizzata nel grafico si basa su un’autodichiarazione delle persone intervistate e non su una valutazione dello stato clinico declinato secondo quanto fa l’ISS pertanto non è possibile confrontare le gravità delle condizioni dei pazienti nelle due diverse rilevazioni. []
  14. Rapporto ISTAT “Impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente nel primo quadrimestre 2020” – 4 giugno 2020 []
  15. Come detto, si tratta solo di una mia ipotesi, che tuttavia ritengo abbastanza fondata, anche alla luce di alcuni studi (limitati, ma significativi) come quello pubblicato sul New England Journal of Medicine (“Reduced Rate of Hospital Admissions for ACS during Covid-19 Outbreak in Northern Italy” del 28/4/20) citato da La Repubblica – Edizione di Torino del 7/6/20 o quello della Società Italiana Emergenza Sanitaria (“Covid 19 e Sistema 118: prime comparazioni tra i dati di attività a Milano, Genova, Roma e Bari” del 19/5/20) citato ne La Repubblica – Edizione di Genova del 7/6/20. Inoltre, a documentare il clima di tensione che ha presumibilmente scoraggiato molti dal recarsi in ospedale pur avendone grave bisogno, vi sono decine di articoli apparsi sulla stampa, spesso con titoli “forti” che fuorviavano dai contenuti effettivi (alcuni esempi, a caso: da Gazzetta di Mantova, Il Giorno, Ansa, MilanoToday), clima che non si è spento neanche dopo il lockdown (un esempio è questo articolo su RavennaNotizie). Ma anche la comunicazione istituzionale non ha brillato per chiarezza (anche qui, giusto per fare un esempio, si veda il Comunicato della Protezione Civile del 22/2, decisamente angosciante nella sua recisione). []
  16. Lo studio è apparso su SCIRE – Scienza In Rete, a firma di E. Bucci, L. Leuzzi, E. Marinari, G. Parisi, F. Ricci Tersenghi, il 22/4/20, con il titolo: “Verso una stima di morti dirette e indirette per Covid“. []
  17. Ricordo che il tasso di mortalità è dato dal numero di morti sulla popolazione suscettibile al virus, in questo caso tutta la popolazione di una nazione. È quindi ben diverso dal tasso di letalità (morti su contagiati). []
  18. Si tratta di un dato emerso durante la riunione del “WHO’s 34-Member Executive Board Focusing on COVID-19” del 5/10, come riportato dalla Associated Press, e piu semplicisticamente ripreso anche in Italia. Il dato emerge dalle numerose indagini sierologiche sulla popolazione – come quella fatta dall’ISAT in Italia – effettuate in molti paesi del mondo. []